Ho perso un figlio, ma non riesco a piangere. Sono pietrificata

Magazine, 11/10/2017.

Buongiorno,
sono una madre con quattro figli.
Il più piccolo di 21anni è morto in un incidente stradale 4 mesi fa... Ero e sono shockata. Ho pianto un poco sì, ma non riesco a fare quel pianto straziante, quel pianto forte per sfogare la mia anima. Resta tutto dentro. O per il fatto che mi dicono «Finiscila» o non so perché. 

C'è sempre qualcuno che mi impedisce di piangere. Ora non ho più lacrime. Mi sento pietrificata.
Però mi sento un peso sul cuore, sullo stomaco dappertutto. Sto male. Anchee se non si vede e non lo faccio vedere per dare conforto al marito e ai figli. Mio marito piange spesso. E ho la sensazione che voglia farsi vedere da tutti che piange.
Io cosa ho?
Mio figlio era la mia vita. La gravidanza era stata pesante, voleva andarsene nel terzo mese e ho fatto di tutto per tenerlo. Ora cosa mi succede?
Mi scuso per il mio italiano. Sono tedesca.
Spero di avere qualche risposta che mi aiuti.

Grazie infinite

Buongiorno.
Sì la capisco, e non vorrei banalizzare il suo vissuto e la sua assenza di lacrime, ma, anzi ridargli dignità. Così mi permetta di prendere questo tema partendo da distante.

Oggi, qui da noi, ci ritroviamo in  un’epoca in cui piangere sembra che faccia aumentare l' audience e nobiliti l'animo, ma temo che sia solo una strategia di marketing. Neppure tanto nuova.

A Genova, già in tempi non sospetti, si diceva: chi nu cianse nu tetta, che, tradotto, vuol dire: chi non piange, non trova chi lo sfama. Tutto questo per arrivare a dire che: No, piangere non è obbligatorio. Ma le lacrime non versate non sono il vero problema.

Intanto va tenuto presente che, alcune persone, reagiscono agli shock , bloccandosi, e/o bloccando le loro emozioni. Come se questo fosse un antico riflesso di protezione. Inoltre, da quello che scrive, mi sono fatto l' dea che lei, per cultura o per carattere, sia una persona che, in generale,  cerca di trattenere le emozioni in favore di una pragmaticità che la porta a non perdere di vista i suoi  obiettivi di essere forte e di sostegno, non tanto per se stessa, quanto per gli altri.

E credo che sia questa sua struttura che l'ha portata a sentirsi e ad essere, di fatto pietrificata.
Un atteggiamento molto efficace nell' ottica dell’altruismo, ma che porta, alla lunga, ad un inevitabile malessere personale.
Se lei condivide questo punto di vista, la invito a chiedersi se: adesso, dopo essere stata così forte, per essere in grado di prendermi cura degl' altri, posso prendermi cura di me stessa?
Spero che lei si risponda: Sì, ora sì.

E cosi possa incominciare a pensare a se stessa ed a come sciogliere questa sua corazza, che la stringe e le pesa sul cuore e sullo stomaco. Deve incominciare a respirare, a fondo. A muoversi in modo più sciolto.

Ed incominciare a sentire ed a seguire le emozioni, tutte le emozioni, che le fluiscono, dentro. E deve permettersi di sorridere, guardando tutti gli altri intorno a lei che non capiscono cosa vuol dire-

Ed a questo punto, non si stupisca,  quando incomincerà a sentire le lacrime scorrerle sulle guance ed  incomincerà a piangere, com'e' giusto che sia.

Saluti
Dott. Marco Emilio Ventura
Psicologo Psicoterapeuta Mental Coach
Genova

Di Marco Ventura

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