Houston: «Reclusa all'università per colpa di Harvey». Il racconto di una tennista sanremese

Matthew A. Barrett (www.facebook.com/sveva.mazzari)

Magazine, 31/08/2017.

Ieri sono uscita per la prima volta dopo cinque giorni. Quattro ore assieme ad altri ragazzi della mia università a portare cibo agli sfollati, nelle chiese e nelle scuole. Un numero incredibile di persone sedute o sdraiate per terra, avvolte nelle coperte, con accanto sacchi di plastica e scatole con dentro quello che sono riusciti a salvare dalle loro case allagate. Bambini all'interno di spazi gioco di fortuna.

È come essere in un film. Di quelli americani, dopo le catastrofi. È stato surreale scoprire di essere stata in tutto questo tempo a cinquanta metri da un'enorme massa d'acqua, che prima era una superstrada. Ho subito pensato meno male che non sono uscita. Mi sarei molto spaventata. Sono una studentessa della University of Houston.

La settimana scorsa ci hanno avvisato di fare scorte viveri per quattro giorni. Io l'ho presa abbastanza alla leggera. Giovedì pomeriggio, quando sono andata al supermercato, molti scaffali erano già vuoti. Ho comprato zuppa di pomodoro bio e smarties. Da venerdì alle tredici è scattato l'allerta uragano. Poi è arrivato Harvey. Pioggia battente giorno e notte, il cielo oscurato, raffiche fortissime di vento.

Chiusa nel residence vicino al campus, con pochi altri studenti, quasi tutti stranieri. Quelli che avevano un posto dove andare hanno abbandonato la città. Ho avvisato il consolato generale italiano della mia presenza a Houston. Gli amici americani di altri Stati mi hanno inviato tutta una serie di contatti per le emergenze.

È stato come essere agli arresti domiciliari. Impossibile muoversi. Quasi nessuna differenza tra il giorno e la notte. Per fortuna non è saltata l'elettricità e abbiamo sempre avuto l'acqua potabile. Uno zainetto preparato ai piedi del letto, con il pc, un cambio di abiti, uno spazzolino da denti e il mio flauto traverso. Non volevo guardare la televisione. Troppa angoscia. Un responsabile dell'università si teneva in contatto con noi, i sorveglianti del residence cercavano di farci coraggio.

Io sono italiana, al terzo anno di università, sono una junior, alla University of Houston in Texas. È un po’ complicato spiegare il mio corso di laurea, quindi brevemente la mia laurea o major si chiama Liberal Studies e mi permette di avere tre minors (piccole lauree) in antropologia, matematica e spagnolo. Dopo aver finito il liceo classico nella mia città, Sanremo, ero molto confusa e non sapevo che studi intraprendere. Sono una persona molto curiosa e questo atteggiamento mi dà la possibilità di imparare cose nuove ogni giorno e di non porre limiti alla mia conoscenza personale. Sono finita qua nel profondo Sud del Texas, in una delle città più grandi dell’America, penso sia nella top 5, grazie alla mia passione per il tennis. Infatti è grazie al tennis se ho ottenuto una borsa di studio completa per poter studiare qui a Houston. Non mi devo preoccupare di spese perché non devo pagare retta, affitto e cibo ma in cambi  gioco nel team della università: noi siamo Houston Cougars (la nostra mascotte è un cougar, cioè un puma). Sono arrivata in America due anni e mezzo fa e ho iniziato a studiare a Emory and Henry College in Virginia. Lì non avevo una borsa di studio completa, però i costi erano ridotti al minimo.

Ho iniziato questo sogno americano nel gennaio del 2015, che però ahimè si è interrotto dopo un mese perché mi sono rotta il crociato anteriore durante la mia seconda partita di tennis. Mi hanno operato lì in Virginia, un ospedale che sembrava un hotel a cinque stelle. Comunque non mi sono scoraggiata e ho concentrato la mia attenzione più sullo studio che devo dire mi ha dato soddisfazioni. Dopo il break estivo, dopo aver fatto riabilitazione come se non ci fosse un domani, ho ripreso i corsi ad agosto e ho ricominciato ad allenarmi nuovamente per la stagione estiva (Spring 2016). Infatti, le università in America si dividono in due semestri: Fall, che va da agosto a dicembre, e Spring che va da gennaio fino a maggio. La stagione tennistica si gioca nello Spring semester, mentre nel Fall semester ci si allena per essere pronti a competere a inizio anno.

Ritornando alla mia storia, a fine stagione ho ottenuto un record personale di singoli 18-1 che mi ha permesso di essere nominata Player of the Year della mia Conference. Quindi sono diventata una piccola star nel mio college. Però volevo migliorarmi e accrescere il mio livello tennistico, così ho deciso di trasferirmi in una università con un livello di competitività più alto e sono finita qui a Houston per caso. Infatti stavo per trasferirmi in Georgia, ma una sera di fine luglio, mi chiama il coach di qui e mi propone l’offerta di borsa di studio completa per finire la mia carriera accademica e sportiva. Ho colto la palla al balzo e sono venuta qui senza pensarci due volte.

Il cambio è stato abbastanza traumatico: livello ed esigenze totalmente diverse dalla mia università e infatti è stata dura prendere i ritmi. Ci alleniamo e dedichiamo molto alla parte sportiva e i nostri obbiettivi sono ambiziosi e richiedono un grande allenamento fisico, grande tenuta di testa e crederci fino in fondo senza aver dubbi. Qui i dubbi non sono concessi: se non dai il meglio di te torni a casa. Non ci sono né se, né ma: devi fare quello che ti viene detto stile Marines: infatti i nostri coach ci mettono alla prova con continui test fisici e ci spronano ad andare oltre i nostri limiti ogni volta che entriamo in campo sia a competere sia in allenamento. La cultura è basata su una competitività estrema, rivolta sia verso gli altri che verso se stessi. Bisogna essere il primo fra tutti. Infatti chi eccelle ha privilegi che altri non hanno. D’altra parte c’è anche un forte spirito di squadra che sovrasta tutte le fatiche fatte per arrivare al traguardo e ti fa apprezzare ancora di più il successo perché condiviso con persone che hanno sofferto le pene dell’inferno come te. Devo dire che è una esperienza che mi ha aiutato a crescere come persona e che rifarei senza ombra di dubbio: mi ha fatto diventare autosufficiente e mi ha reso capace di adattarmi a situazioni completamente sfavorevoli. Sono in ansia, ma anche motivata a dare il meglio di me stessa in questo mio ultimo atto a Houston e, sperando di superare la tremenda eredità di Harvey e l’inverno caldo, di concludere la mia stagione da athlete-student con soddisfazioni e felicità.  

Di Sveva Mazzari

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