Arte, famiglia, politica nel racconto epico di Paravidino. Ma perché l'happy ending?

T. Le Pera
Teatro Eleonora Duse Cerca sulla mappa

Genova, 09/02/2018.

È un drammaturgo capace. È un competente regista e ha una sua chiave interpretativa da offrire sul palco come attore. Ne Il senso della vita di Emma (produzione Stabile di Bolzano) - al Teatro Duse fino a domenica 11 febbraio 2018 - Fausto Paravidino apre un grande libro di storie che si inseguono, in parte in modo lineare in parte come anticipi o a-parte, in un'epica familiare o romanzo teatrale (come lo definisce lui), in cui tanti altri fili narrativi fanno capolino in dialoghi serrati, spesso esilaranti e veraci, fatti di una lingua schietta e misurata come un abito su ognuno/a.

Una e tante storie quante sono le persone in scena e tante quante sono quelle fuori scena, in un'esposizione del social network di ognuno dei personaggi tra relazioni amorose, familiari, occasionali, amicali, etc. Adiacente all'epica familiare, perché scorre accanto ma anche perché si interseca con essa, una presa diretta sul mondo dell'arte colto in quel medias res apicale che ogni vernissage di una mostra fornisce mentre critici, galleristi, amatori, seguaci e fanatici si contendono il primato dell'osservazione più acuta disquisendo del bello in arte. Arte concettuale, art brut, pittura, senso estetico, arte come commercio o come necessità di provocare, disgustare, sfidare. Tutto a partire da una grande assente, Emma la terza figlia (di quattro) di Carlo (F. Paravidino) e Antonietta (Eva Cambiaso), la cui esistenza coinvolge i fratelli Giulia (Angelica Leo) e Marco (Gianluca Bazzoli),  ma anche la vicina di casa Berta (Sara Rosa Losilla), Clara (Marianna Folli) e Guido (Jacopo Maria Bicocchi), amici di Antonietta ai tempi dell'università, poi marito e moglie, e il loro figlio Leone (Giuliano Comin) e persino la dottoressa di Emma (Maria Giulia Scarcella) il fidanzato poi marito Nello - Lo splendido (Giacomo Doss) e un'amica attivista (Emilia Piz).

Organizzato su due tempi questo vivace e ironico affresco è una commedia svelata. Fuor di fizione, nella tradizione del teatro epico, Paravidino lascia che i personaggi si raccontino al pubblico per poi fare immergere gli attori completamente nell'universo narrativo delle loro identità teatrali trascinando con sé gli spettatori come in un patto ancor più intimo. 

La felicità della drammaturgia testuale e scenica (Paravidino) contraddistingue il primo atto e gran parte del secondo e si appoggia su una scena (Laura Benzi) organizzata su due livelli - a cui se ne aggiunge un terzo con le proiezioni video. Completamente spoglia, la scena è capace di dar vita a una moltitudine di ambienti attraverso un caratterizzante progetto luci (Lorenzo Carlucci) e un articolato lavoro cromatico tra tendaggi e costumi (Sandra Cardini), tutto a partire da una certa semplice sapienza rispetto al simbolismo che ogni elemento può attivare sul palco.

La scrittura di Paravidino accoglie generosamente  e con caparbia attenzione trattiene a livello linguistico diverse fasi della vita dei personaggi (da quando sono ragazzi a quando sono genitori di giovani adulti), diversi tempi storici dalla fine degli anni '60 al fervore politico tra comunisti e democristiani dei primi Settanta, l'incessante spettro del fascismo e tutta l'epoca dell'attivismo politico, incluse le Brigate Rosse e la strage di piazza Fontana. Un romanzo per ampiezza, numero di sottotrame e personaggi. Un lavoro epico nel metodo di metterlo in scena ma anche a livello tematico per la serie di nodi concettuali che tocca, presentando le grandi questioni della vita (i valori, la religione, la politica, la famiglia) e del mondo contemporaneo (il consumo di carne, l'attivismo, le grandi multinazionali e lo sfruttamento dei paesi poveri), quella varietà di sfacettature con cui ogni essere umano vive le esperienze della vita ribadendo la complessità sopra ogni dualismo e al di là di facili semplificazioni fuori contesto.

La scelta di tratteggiare il mondo dell'arte in modo parodico calcandone gli eccessi e le affettazioni di comportamento (con una mimica che crea quasi un linguaggio dei segni) e di linguaggio, ma anche utilizzando le maschere (Stefano Ciammitti) in una sovrapposizione di artifici, conferma ulteriormente la coerenza di sguardo che da regista Paravidino sa gettare sulla sua stessa drammaturgia - forma imperfetta e incompiuta di per sé, perché in attesa della messa in scena tra ritmi di parola, scene, luci, suoni e corpi reali in movimento. Scrive e sovrascrive senza timori ma consapevole delle opportunità che il palco offre alla scrittura su carta.

Insomma tutto torna in modo per altro accattivante, giocoso e riflessivo al contempo. Sarebbe ipocrita nascondere però del crollo che l'arrivo dell'assente Emma determina. Certo il personaggio assente (alla Godot per intendersi) è anche facile espediente drammaturgico per creare speculazioni, suspense e molti altri effetti scenici, quindi è possibile che Paravidino abbia voluto distruggere l'espediente per lavorarci su. È pur vero che in questo particolare play perdeva presto la natura di espediente perché nello sviluppo romanzesco, l'assente Emma offriva un ulteriore elemento di coerenza all'espansione bulimica delle trame, replicanti al pari di bocche spalancate e gravide pronte a partorire storie - tant'è vero che in più di un'occasione alcune tracce sono tranciate rapidamente sull'onda di «ma questa è un'altra storia ancora».

Il senso della vita di Emma tornava continuamente tra i fili delle vite degli altri e si intrecciava a queste tra percezioni, mezze verità, illazioni e qualche episodio dell'infanzia ricostruito in flashback con il pupazzo di Emma, un'altra soluzione felice che ribadiva l'assenza, in un'inumana caratterizzazione dal profilo inquietante. Forse c'era la necessità di non farne un mostro e allora riportarla in scena nel corpo concreto di un'interprete (Iris Fusetti) azzerrava l'effetto creatura shelleyana. O forse, trattandosi di un romanzo tratto da una storia vera, si è voluto riconciliare la finzione con una certa evoluzione della vicenda reale in chiave più fedele? rispettosa?

Resta la domanda: ma era proprio necessario l'happy ending? e la chiusa: «questa è la vita, questo è il teatro», anche questa era davvero tanto necessaria?

@ Teatro Duse - Stabile di Genova
6-11 febbraio 2018 - ore 20.30

Il senso della vita di Emma
scritto e diretto da Fausto Paravidino
con Paravidino, Iris Fusetti, Eva Cambiale, Jacopo Maria Bicocchi, Angelica Leo e Gianluca Bazzoli, Giuliano Comin, Giacomo Doss, Marianna Folli, Veronika Lochmann, Emilia Piz, Sara Rosa Losilla, Maria Giulia Scarcella
scene di Laura Benzi
costumi di Sandra Cardini
musiche originali di Enrico Melozzi
eseguite da Orchestra Notturna Clandestina
maschere di Stefano Ciammitti
luci di Lorenzo Carlucci
produzione Teatro Stabile di Bolzano

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