Festival della Mente 2017: fare rete con la compagnia Scena Madre

ScenaMadre

La Spezia, 30/08/2017.

Marta è ligure ma si è formata al Dams di Torino. Michelangelo è piemontese e si è laureato in Scienze Politiche sempre a Torino. Insieme sono Scena Madre, la compagnia di casa a Lavagna (Genova) che nel 2014 vince il Premio Scenario Infanzia con La stanza dei giochi, uno spettacolo interamente interpretato da due bambini dedicato al tema - già in scena a Genova al Teatro dell'Ortica e alla Tosse e ancora in tournée per l’Italia anche nel 2018.

Quest'anno per la prima volta Scena Madre è tra i protagonisti del Festival della Mente 2017 di Sarzana, invitata ad aprire la sezione Kids venerdì 1 settembre (alle ore 18), con il laboratorio teatrale Fare rete (90 minuti) rivolto a bambini e adulti, genitori e nonni (dai 6 ai 99 anni). «In linea con il tema di questa edizione (la rete) - spiega Marta - il nostro laboratorio teatrale interpreta il concetto guardando alla rete sociale: ovvero a tutti quei legami tra famiglia, scuola, attività sportive a cui ogni bambino/a ha accesso. La nostra proposta è per un lavoro a coppie in cui siano coinvolti possibilmente figli e genitori. Rifletteremo sul fatto che alcuni legami, per esempio, si possono o si vogliono tagliare, rinsaldare, tenere. Insomma, ce ne sono di tanti tipi. L'idea è di far lavorare insieme genitori e figli offrendogli l'occasione per scoprirsi sotto un altro punto di vista».

E alla fine del laboratorio resterà anche un totem. «Lo faremo costruire sulle reti di ognuno con tutti i loro legami, poi lo esporremo davanti al Liceo Parentuccelli così che ognuno potrà vederlo e magari aggiungere fili e legami propri mettendo a disposizione un po' di materiali». Il teatro di Scena Madre non è però di solito fatto di gomitoli e carta ma piuttosto è basato su «corpo e voce» il punto qui però è far lavorare i bambini in «modo concreto su un concetto astratto, per questo fili e spago permetterà loro di toccare con mano quello che si intende».

Marta ci tiene a dire che tutto all'interno di Scena Madre è condiviso, seppure la diversità per loro sia importante. «Siamo sempre in due e ci piace anche essere un maschio e una femmina perché presentiamo due sensibilità diverse come ad esempio nello spettacolo La stanza dei giochi, dove i due protagonisti, un bambino e una bambina, litigano e si fanno i dispetti con varianti diverse un po' più da femmina o un po' più da maschio - il tema era quello dell’egoismo nelle relazioni di amicizia e di affetto. È capitato spesso che il pubblico dei bimbi finisca per parteggiare per l'uno o per l'altra, esprimendo una forte auto-identificazione». Non si rischia di cadere nello stereotipo? «Direi di no, perché ci sono poi anche meccanismi ed esternazioni che ci accomunano e quindi si riesce a mantenere sempre un certo equilibrio tra differenze e somiglianze». 

Con i loro laboratori, Marta e Michelangelo stanno girando parecchio: «Da un annetto a questa parte siamo sempre più impegnati e, oltre alle scuole e agli spazi sul territorio, siamo stati invitati a Uovokids al Museo della Scienza e Tecnologia di Milano, alla Fondazione Sandretto Re Rebaudengo a Torino e, a novembre, saremo a Paratissima: un evento di arte contemporanea a Torino. 

Intanto, è in cantiere una nuova produzione dal titolo provvisorio I compiti a casa. «Siamo ancora in fase di studio e per ora ne abbiamo presentati due, uno alla libreria Il sentiero di Benjamin a Sestri Levante e uno alla rassegna Quante Storie organizzata dal Comune di Casarza Ligure. Più avanti speriamo in qualche vetrina e poi, dalla prossima stagione, di portarlo a teatro. Non ci piace avere fretta. Dedichiamo molto tempo a ogni scena. Questa volta affrontiamo il tema della separazione, argomento che nei nostri laboratori viene fuori sempre più spesso quando lavoriamo con i bambini. Si direbbe che capiti con maggior frequenza e, per ognuno di loro, è sempre un momento delicato seppure i loro racconti ci testimoniano modi più o meno traumatici di viverlo». 

Come impostate il vostro lavoro? «Cerchiamo di trascorre la maggior parte del tempo in sala prove. Difficilmente ci arriviamo senza alcuna idea, ma quelle migliori arrivano facendo. Poi non avendo una nostra sede ci appoggiamo a scuole o a spazi pubblici e privati. Un punto debole ma anche un'occasione per conoscere altre realtà, istituzioni e contesti e magari trovare modi di collaborare». La nuova produzione non rientra nella tradizionale categoria teatro ragazzi, ma piuttosto tout public: «perché ha un doppio livello di lettura, più immediato per i bambini e più profondo per gli adulti e perché idealmente i nostri spettacoli si rivolgono a tutti».

Tra laboratori e spettacoli esiste una relazione di scambio reciproco? «I bambini del primo cast li abbiamo conosciuti nei laboratori così come quelli per il secondo cast, perché crescono in fretta. Ora per esempio il secondo attore della nuova produzione, accanto a me è Michele Moretti che viene da un nostro laboratorio per adulti. I laboratori sono un modo per conoscere e confrontarsi con nuove persone e a volte ci fanno anche trovare gli attori adatti per le nostre produzioni. Però non sono provini. A noi piace fare i laboratori e non sono affatto un ripiego. Per noi è importante e complementare all'attività artistica anzi la completa permettendoci di continuare a sperimentare cose diverse, con persone di varie età e, soprattutto, di restare agganciati al mondo reale. Manteniamo così un legame con la gente per cui facciamo gli spettacoli, perché parlino la loro lingua».

Questa volta in scena ci sono due adulti tu e Michele Moretti e Michelangelo? «Lui si è occupato della regia e degli effetti speciali insieme a Simone Minoli. Non usiamo mai effetti speciali pazzeschi, almeno non ci interessano se restano trovate spettacolari, piccole soluzioni curiose però sì, specie se hanno un contenuto forte: qui per esempio c'è un gioco di luce sull'acqua molto poetico e metaforico. Il lavoro però è ancora tutto in evoluzione e potrebbe cambiare anche il cast. Andando avanti ci siamo accorti infatti che noi stiamo meglio fuori, a dirigere e a scrivere, piuttosto che dentro lo spettacolo. Se vediamo che qualcuno funziona meglio in scena allora siamo pronti al cambio». 

Esiste un legame tra questo nuovo spettacolo e La stanza dei giochi? «Credo che il filo conduttore sia la volontà di riflettere sulle relazioni tra esseri umani: cercare di capire perché è così complicato andare d'accordo, eppure abbiamo tanto bisogno degli altri. I bambini sono molto profondi rispetto a questi argometi e si fanno moltissime domande, a differenza di quello che si può immaginare». 

Sul territorio di Chiavari e Lavagna, Scena Madre si rivolge ai bambini della scuola primaria e delle medie, «l'anno scorso però abbiamo lavorato anche con un liceo e con adulti». Che cosa si scopre rispetto alle diverse generazioni mettendo a nudo argomenti della sfera emotiva? «Per esempio che sia bambini che adulti sono bravissimi a urlarsi di tutto. Quando però gli si chiede di trovate una soluzione, che non vuol dire fare pace, vanno tutti nel panico. Per noi quello che conta è tirare fuori qualcosa dalle persone sia che siano adulti che bambini. Gli adulti hanno più freni, è più difficile per loro mettere da parte la propria immagine di sé, per i bambini molto meno».

La formazione ibrida da cui Michelangelo e Marta provengono si è nutrita di un contesto favorevole a Torino dove «c'è possibilità - prosegue Marta - di fare formazione teatrale anche da scuole di recitazioni formali e in modo personalizzato scegliendo un laboratorio con questo e un seminario con un altro. Per esempio Michelangelo ha fatto diversi laboratori con Emma Dante nel corso di un anno anche andando a Palermo. Per lui è stato un incontro importante. Per me lo è stato altrettanto quello con la regista Serena Sinigaglia. Altri stimoli interessanti ci sono arrivati da seminari con Riserva Canini, per esempio, una compagnia di teatro di figura che porta avanti una ricerca davvero interessante: loro sono un duo, lui sta a Torino lei a Firenze. Po mi viene in mente Michele Santeramo per la drammaturgia, la scuola di Pordenone della Commedia dell'arte. A noi piace spaziare da un genere all'altro, cercando poi di andare il più possibile a teatro per aprire la testa e non guardare solo quello che ci piace». E Gabriele Vacis? «Sì certo con lui siamo in rapporto costante». Siete stati alla sua awareness summer school all'interno del nuovo Istituto di Pratiche Teatrali per la cura della persona? «ancora non ci siamo riusciti per vari impegni ma lo faremo».

Che rapporto avete con l'idea di teatro e cura? E di teatro e terapia? La mia tesi era sul Teatro Sociale di Comunità per cui ho fatto un laboratorio teatrale rivolto a studenti di infermieristica, per farli riflettere su cosa significhi essere un paziente in reparto: avere qualcuno che ti spoglia, ti manomette, non avere i propri vestiti, ecc. Oggi lo farei in modo molto diverso, era il 2012, ma è stata un'esperienza interessantissima in cui Michelangelo mi ha aiutato molto. Una volta arrivati in Liguria non è più capitata l'occasione di continuare in questa direzione. Da un po' di anni a questa parte facciamo teatro per il teatro ma ci piacerebbe capitasse l'occasione di recuperare questo tipo di esperienza».

Chiudiamo facendo un salto indietro: Premio Scenario ha rappresentato effettivamente una svolta? «Per noi ha fatto la differenza. Ci ha permesso di accedere a una serie di contesti che altrimenti non aprirebbero le porte a due perfetti sconosciuti. Ci ha anche insegnato come porci. Resta il fatto che dopo un premio come questo, ogni giorno, devi confermare che in quello che fai c'è del potenziale. Però certamente siamo molto grati a Scenario che ha creduto in noi con progetto rischioso con due bambini in scena di 8 anni».

Di Laura Santini

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