Chi sono gli altri? Nell'affabulazione incantatrice di Ascanio Celestini

Piero Tauro
Teatro Gustavo Modena Cerca sulla mappa

Genova, 23/03/2018.

Secondo capitolo di una trilogia apertasi con Laika, uno spettacolo che ha debuttato a fine 2015, Pueblo  di e con Ascanio Celestini riallaccia i nodi narrativi e i personaggi di Laika, mettendo però al centro della sua affabulazione incantatrice altre figure umane. Non ci sono eroi, solo esseri umani con le loro quotidiane frange di vita che strusciano a terra e scontrano altri sul loro cammino.

C'è Violetta, cassiera in un supermercato, che vive con la madre proprio nella finestra di fronte a quella del narratore e del suo braccio destro Pietro. C'è la barbona Domenica e il suo amante Said, migrante africano assunto come facchino in un grande magazzino, poi licenziato e costretto a tornare in Africa. Accanto a Domenica, anche lo zingaro con la sigaretta sempre in bocca conosciuto da bambina. E il narratore? Nelle parole di Celestini è un'«incarnazione cristologica, ma di un Cristo che non cambia il mondo», piuttosto lo osserva e lo crea attraverso l'immaginazione. Insomma un Cristo-scrittore o uno scrittore con poteri che afferiscono all'ambito sacro della creazione divina, che vanno oltre la sfera della fantasia e entrano nel vivo delle realtà umane. E non è forse vero che oggi lo storytelling è diventato un modo per creare esistenze altre? Attraverso piattaforme social o altri strumenti digitali, oggi il margine si è stretto tra ciò che è vita di finzione e vita reale, ma qui si esce da qualsiasi forma di narcisismo, non si inventano storie per inventarsi altri "io" e si guarda al di là di facili etichette, stereotipi e modi di relegarle gli altri in costrutti semplificatori. Qui si generano storie per restituire umanità, soprattutto, a chi osa guardare e incontrare e sa smettere i parametri del giudizio perché è umano semplicemente umano.

Chi sono gli altri? Cosa fanno? Questa voce-cristologica che Celestini incarna, mentre Gianluca Casadei (fisarmonicista) lo accompagna dal vivo con pezzi alla tastiera o alla fisarmonica, dice che questi altri sono creature e si domanda chi sono e cosa fanno  nell'atto più caritatevole che oggi si possa ideare. Chi sei? Come ti chiami? Cosa fai? Non sono forse quelle domande che ci mettono in contatto e creano le relazioni tra noi? Non sono le stesse formule che quando decidiamo di non "performarle" cancellano il rito in potenza e innalzano immediatamente sottili ma solidissimi muri; barriere tra noi e loro, tra chi si sente parte e chi si preferisce (decide di) tenere a distanza e lasciare al margine, non fosse altro che di ciò che è centro perché ci è nota e di cui scegliamo di prenderci in qualche modo cura.

Il ritmo della narrazione orale, le frequenti ripetizioni, la ripresa di alcuni elementi chiave e caratterizzanti sono una cifra stilistica che ci restituisce il meglio del primo Celestini, quello capace di inventarsi una lingua, fatta di storpiature ma anche di nuovo lessico, nuove metafore e allegorie, invece che appoggiarsi solo su sketch, frammenti di satira (per esempio addentrandosi nell'universo del rapporto tra bambini e suore) e soluzioni ironiche più ovvie (con qualche cazz* di troppo) che appoggiano su una parlata più scontata. 

Gli antieroi le cui vite vengono spiate dalla finestre - sul palco un piccolo quadrato-casa racchiuso da una tenda, i 35 metri quadri da cui si osserva - e rese storie sono protagonisti a prescindere, semplicemente in quanto esseri umani e, in potenza, incarnazioni di condizioni umane che valgono per tutti. Violetta che si crea la sua personale versione del ruolo di cassiera e si fa regina con sudditi invece che clienti. Regina come nelle carte da gioco, senza gambe, perché inchiodata alla sedia della cassa, in senso metaforico e letterale: «non si può mica alzarsi per fare pipì, ci sono le massaie, quelle sono crudeli, guai se ti alzi che c'hanno da fare loro». La mamma di Violetta, un tempo chiacchierona come la figlia, oggi è rassegnata al silenzio, eloquente testimonianza di un'esistenza monca, dopo la morte del marito: quel padre capace di tutto ed eccellente in ogni campo, in ogni sport anche quelli da ricchi. Domenica che vive in una casa di plastica, offertale un giorno lontano da una guardia giurata, è stata una bambina educata a rubare dal padre, a suon di botte, ma che ha realmente imparato qualcosa nella vita solo quando ha messo in moto il suo modo di ragionare, la sua capacità di autodifesa e messo in pratica qualche buon consiglio di quello zingaro di 8 anni con la sigaretta sempre in bocca con cui è stata bambina. Tra botte e abusi, il momento più felice per Domenica è quello dell'autodeterminazione, è quello in cui sa di poter scegliere, per una volta, e lo fa con lucidità mirabolante perché allegra e allo stesso tempo ferocissima verso il proprio destino. Giudicata per l'ennesima volta, verrà soccorsa e obbligata a "vivere" con niente e contro la sua volontà

Storie che toccano ognuno di noi perché raccontano di come la vita si faccia beffe dei nostri desideri e delle nostre aspirazioni. Di come molto possa dipendere da altri e altre. Di come un sorriso e un gesto di accoglienza possano restituire occasioni o, in assenza, definire per sempre la chiusura di una porta a cui si sperava di accedere. Di come altri individui nelle nostre vite spesso contribuiscono più o meno passivamente (o aggressivamente) alle virate che, a un certo punto, le nostre esistenze prendono. E di come sembra sempre che si stia attraversando semplicemente una fase, un periodo, una situazione temporanea mentre invece si è nel culmine di un evento che poi determinerà il finale.

Una performance bella, non del tutto monologica perché in relazione con Gianluca Casadei e la voce fuori scena di Alba Rohrwacher entrambi nei panni di Pietro, che nel confermare uno stile e temi cari all'artista, rinnova una forma antica quella del racconto orale con tutta la sua carica di saggezza, di volontà di conforto, monito, guida; atto in cui generare stupore, senso di condivisione e anche messa in guardia dai tanti stereotipi che ci impediscono non solo di guardare di fronte a noi, al di là del vestito o del colore della pelle, ma anche dentro di noi.

Applausi.

Pueblo è una coproduzione con il Festival RomaEuropa 2017. Ha debuttato, in francese al Théâtre National di Bruxelles e al Théâtre du Rond Point di Parigi.

Ascanio Celestini e mentelocale si sono incontrati molte volte, ecco alcune recensioni per esempio dello spettacolo Fabbrica (2002) oppure interviste Celestini 2002 o nel 2009.

Teatro dell'Archivolto | sala Gustavo Modena
22 al 24 marzo 2018
giovedì 22 marzo ore 19.30, venerdì 23 e sabato 24 marzo ore 21 

Pueblo
uno spettacolo di e con Ascanio Celestini
voce fuoriscena di Alba Rohrwacher
musiche originali eseguite dal vivo Gianluca Casadei
produzione Fabbrica srl / RomaEuropa Festival 2017 / Teatro Stabile dell’Umbria

Prossime date:
domenica 25 marzo (ore 21.00) @ Teatro di Ventimiglia

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