Betty Argenziano racconta Come ci siamo fottuti il Paradiso terreste

Pubblichiamo di seguito un estratto del nuovo libro di Betty Argenziano, Alle donne piace soffrire ? (disponibile su Amazon in versione ebook e cartacea), un saggio eco-femminista scritto con l'ironia che contraddistringhe la scrittrice genovese.

Genova, 12/10/2017.

Come ci siamo fottuti il Paradiso Terrestre

C’è stato un tempo molto lontano in cui il Mondo era tutta un’altra cosa: immaginate un posto dove donne e uomini vivevano in armonia, e le donne erano venerate come Dee. Il loro corpo era capace di due magie incredibili: uno sfrenato piacere sessuale e il dono della vita. Il sesso è sempre stato in gran voga, ma capite bene che senza tv, Internet e smartphone, era anche l’unico svago insieme ai tramonti mozzafiato su paesaggi incontaminati.

In quel tempo primordiale, diciamo nel Paleolitico Superiore, il Pianeta era meraviglioso, un Eden intatto che non lasciava presagire l’avvento dell’isola di plastica alla deriva nell’Oceano Pacifico; si viveva poco ma intensamente, in profonda connessione con l’energia dell’Universo: gli esseri umani erano quattro gatti, bastava distrarsi un attimo e si finiva come snack ipocalorico nelle fauci di un leone delle caverne (che di ciccia attorno alle ossa dovevamo averne poca). Per questo motivo la Natura, astutissima, predispose nel bacino della donna un potente e variegato sistema neurale che le provocava grandiosi orgasmi plurimi e una voglia praticamente insaziabile: non c’erano inibizioni culturali o religiose, il sesso era quel che la Natura aveva previsto fosse, un gratificante contorno alla riproduzione. La sessualità era allo stesso tempo animale e spirituale: l’estasi del godimento connetteva la donna con una dimensione mistica, la felicità post coito consolidava i legami, la rete neurale generosamente distribuita nella pelvi femminile stimolava nelle loro menti la forza e l’assertività.

Avere quell’organo prodigioso tra le gambe faceva di te una vera e propria Dea in terra: all’interno della società matriarcale le donne godevano di enorme prestigio per la loro capacità di procreazione, probabilmente anche per l’aspetto del puro piacere orgasmico, al quale potevano liberamente abbandonarsi. La loro posizione preminente non le induceva a sottomettere gli uomini, perché erano appagate, sicure di sé, esaltate dalla venerazione di cui erano oggetto: «Il culto della vagina sacra e della sessualità femminile come metafore del divino si diffuse in Europa prima dell’arrivo del cristianesimo» (Naomi Wolf, Vagina. Una storia culturale). Era il tempo delle società di «caccia e raccolta», vivevano tutti in pace e armonia, ognuno si dedicava a quello che gli riusciva meglio.

Ma un giorno tutto cambiò. Accadde che un uomo mettesse in relazione le sue enormi orecchie a sventola con quelle di un bambino appena venuto al mondo: erano proprio due gocce d’acqua. Accidenti a lui, aveva scoperto la paternità: questo felice periodo di armonia, sesso sfrenato e paleodieta finì, e cominciarono i guai.

Prima, durante il matriarcato, sebbene vivessero in armonia con le donne, gli uomini inconsciamente avevano sofferto di invidia della «porta celeste», la vagina, per cui dopo la scoperta della paternità il loro ego ebbe un’impennata, e si convinsero che fosse la loro «bacchetta magica» a rendere possibile la vita. Quando la Natura aveva predisposto nel maschio la «competitività» lo aveva fatto ingenuamente, per favorire la selezione naturale; ma ora qualcosa era sfuggito di mano e l’uomo ubriaco di onnipotenza desiderò padroneggiare sull’intero Creato. Tutta colpa di un tris di sostanze rilasciate nel cervello dei mammiferi (la dopamina, l’ossitocina e gli endocannabinoidi), pensato dalla Natura come goduriosa ricompensa al sesso (altrimenti non lo farebbe nessuno), e come conseguenza dell’attività aerobica, dovendo rincorrere il proprio pasto con un giavellotto in mano. Purtroppo gli ormoni del benessere vengono rilasciati anche esercitando il «dominio sugli altri» e l’avarizia, e possono procurare una dipendenza compulsiva. Cosi nacque il patriarcato.

Con il patriarcato si formò anche un abbozzo di stratificazione sociale, e comparvero l’agricoltura e l’allevamento, attività che richiedevano un lavoro organizzato e il possesso di terra e animali. E lavoratori preferibilmente sottopagati. Caduta in disgrazia la sua popolarità, la donna si ritrovò accanto un uomo che le era superiore fisicamente e che aveva tenuto per sé le armi per la caccia; un uomo con la dopamina fuori controllo, un drogato sempre in cerca della sua dose di predominio e avidità: d’ora in poi sì, la donna sarebbe stata veramente nella merda, come si usa dire con schiettezza anche in paleontologia.

Gli uomini provarono un gran gusto nel dominio sugli altri: almeno il 50% della popolazione, le donne, fu facilmente sottomesso, e con la stratificazione sociale anche gli uomini non furono più tutti uguali. Un disastro dietro l’altro per colpa delle orecchie a sventola di quel neonato.

«Le società patriarcali, che pure non possedevano le nostre conoscenze scientifiche, si erano accorte» dice Wolf «che le donne sessualmente più assertive e consapevoli erano anche le più concentrate, motivate, energiche e biologicamente potenti». Così fu un gioco da ragazzi dominarle. Il controllo della primordiale forza delle donne si realizzò nella repressione della loro sessualità selvaggia, ed ebbe come diretta conseguenza un crollo verticale della loro autostima: all’improvviso erano considerate colpevoli di malefatte di un certo rilievo, come il peccato originale, impure, persino diaboliche. Dalle stelle alle stalle.

La scoperta della paternità si portò dietro anche l’insano desiderio che questa fosse certa, così di lì in poi la sessualità femminile sarà sempre più imbrigliata saldamente da religioni, dogmi, culture, censure, stigmi, depotenziata da cinture di castità e ogni genere d’inibizione fisica e psicologica. Le donne furono divise in due categorie base, socialmente controllabili: le fedeli e caste “donne per bene”, e le “donnacce”, sessualmente libere ma marchiate dall’infamia. La nostra più profonda essenza fu spaccata in due, e noi stesse slegate le une dalle altre, grazie alla contrapposizione forzata tra sacro e profano, che prima non esisteva. Castità, sottomissione e obbedienza divennero virtù alle quali aspirare, e ridefinirono la posizione della donna nella società.

In questo modo l’equilibrio dell’umanità si perse per sempre. Il maniacale controllo della vita e del corpo delle donne si concretizzò nella loro segregazione: fu impedito loro il contributo attivo all’evoluzione delle comunità, non poterono più per molti millenni lasciare un segno significativo del loro passaggio su questo Pianeta, né impedire la deriva dell’avidità e del «dominio sugli altri» che si concretizzò nelle infinite guerre, nelle schiavitù, nello sfruttamento di tutti gli esseri viventi e nella distruzione sistematica dell’ambiente. Tutti effetti collaterali della dopamina compulsiva di tragica attualità.

È in quest’ottica che ora dovreste rileggere la frase di Emmeline Pankhurst che apre questo libro:

Dobbiamo liberare metà della razza umana, le donne,
così loro possono aiutare a liberare l’altra metà.

Se fossimo tutti liberi, potremmo tornare all’equilibrio primordiale, dove la Natura ha creato donne e uomini uguali, e diversi perché potessero completarsi. Non è una questione di orientamento sessuale, il discorso riguarda tutti, l’Umanità nel suo complesso, l’interazione degli individui tra loro e con l’ambiente.

Come si torna al Paleolitico Superiore senza passare per una devastazione post-atomica? Liberiamo le donne: se fossero tutte libere di esprimere la loro vera femminilità, potrebbero aiutare gli uomini a disfarsi del desiderio di dominare gli altri, e tornerebbero a essere veri uomini, connessi con la Natura.

Non è una cosa semplice, perché come diceva Goethe «Nessuno è più schiavo di colui che si ritiene libero senza esserlo»: le donne occidentali sono schiave di canoni estetici che le inducono a ritenersi sempre imperfette, così dedicano energie, tempo e denaro a torturare ogni centimetro quadrato del loro corpo, insinuando il sospetto di una tendenza masochistica. Ma alle donne piace soffrire?

Betty Argenziano
Scrittrice, architetto, pittrice e scultrice genovese, da sempre interessata alle tematiche dell’emancipazione femminile, Betty Argenziano ha scritto con lo pseudonimo BettyArgento il libro Singolare (Comix 2002); con ilmiolibro ha auto-pubblicato il romanzo Dipingo affreschi erotici pompeiani (2007), e le raccolte di racconti Made in Nowhere (2009) e Pezzi d’Argento (2010).

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