Riceviamo e pubblichiamo un estratto dal libro Dal verde pubblico al verde comune, di Patrizia Palermo, che così descrive il suo testo: «Dal verde pubblico al verde comune è il libro che chiude la mia personale esperienza istituzionale e avvia una riflessione sui temi del verde pubblico e dei beni comuni. È il racconto di un ciclo amministrativo municipale in qualità di Vice Presidente e assessore con delega al verde pubblico e al volontariato, svolto in una zona di frontiera come la Valpolcevera a Genova, territorio difficile, solcato dai corridoi viari delle Grandi Opere, dalle difficoltà dei quartieri popolari quali la Diga, delle tante aree industriali dismesse, segnale tangibile di una crisi pesante e non ancora superata. Il bene di proprietà pubblica diventa sempre più l’unica risorsa, il mezzo principale per il raggiungimento minimo di quella dignità dei diritti fondamentali che la povertà crescente rende sempre più difficili da soddisfare».
Genova, 19/07/2017.
Genova è stata una città verde sino agli inizi allo sviluppo industriale e dell’urbanizzazione; il paesaggio costiero e collinare caratterizzato dal susseguirsi delle ville con i loro giardini e agrumeti, delle coltivazioni a orti, vigneti, frutteti, lecci, pini domestici, dei boschi produttivi di castagni, era descritto da geografi e viaggiatori come un ininterrotto susseguirsi di giardini e spazi coltivati. La presenza del mare, la mitezza del clima e la diffusione dei terrazzamenti coltivati contribuivano alla bellezza del paesaggio genovese, oggi in parte irriconoscibile.
Stampe e cartoline di un tempo ritraggono spazi ormai
dimenticati, paesaggi privati della loro identità: spiagge
e litorali sottratti alla città e ai suoi abitanti, ville storiche
dimenticate i cui giardini sono trasformati in parcheggi
attraversati da viadotti e intrecciati ponti ferroviari.
Le trasformazioni urbane che hanno coinvolto le grandi città
italiane negli ultimi decenni hanno lasciato tracce
indelebili nel territorio e nella conformazione urbana.
Genova, stretta tra mare e monti, difficile da attraversare dalle
necessità contemporanee anche e soprattutto dalle linee di
collegamento viario, ne è l’emblema, con i suoi viadotti che
toccano le case, le sue anguste gallerie sotto le abitazioni che
fanno tremare i muri e le vite.
Un contesto complesso, profondamente inciso e trasformato, che è
diventato negli ultimi tempi scenario di forti contestazioni
soprattutto in merito alla realizzazione delle c.d. Grandi Opere
(Terzo Valico dei Giovi e Gronda di Ponente) che la percorrono o la
vogliono penetrare scavandola dentro le sue
colline.
Negli ultimi anni la consapevolezza di appartenenza della
popolazione si è evoluta e la volontà di preservazione di ciò che è
rimasto è diventata particolarmente forte ed esasperato nei toni,
ma non solo.
Un difficile bilanciamento tra necessità di evoluzione economico e
sociale della città, le sue prospettive di sviluppo e superamento
di un dichiarato isolamento, e il prezzo da pagare per la sua
realizzazione. Non solo il Verde, nella sua accezione più ampia, ma
l’integrità stessa del territorio e dell’ambiente,
con importanti ripercussioni in termini di vivibilità, è diventata
oggetto di un acceso dibattito cittadino che ha visto due
contrapposti schieramenti, trasfusi anche in forza politica,
affrontarsi su posizioni antitetiche soprattutto nelle zone
coinvolte pesantemente dalle cantierizzazioni (Ponente cittadino e
Valpolcevera).
Genova nei decenni, come già ricordato, ha visto intere zone del Ponente private delle spiagge, trasformate in porti petroli e merci. Pezzi di città che hanno subito metamorfosi orografiche, violentate. La logica del risarcimento del sacrificio subito ha portato le amministrazioni a migliorare con opere compensative la qualità della vita proprio passando attraverso la creazione e riqualificazione degli spazi pubblici urbani.
Di Patrizia Palermo