Bruno Tognolini al Premio Andersen: «Umani e animali, figli della stessa madre»

Genova, 16/05/2017.

Apre il programma delle iniziative legate della trentaseiseima edizione del Premio Andersen dedicato ai libri e agli autori che parlano all'infanzia l'incontro con Bruno Tognolini mercoledì 17 al Teatro Altrove.

Giunge alla 36esima edizione il Premio Andersen , promosso dall'omonima rivista, che sancisce anno dopo anno, i migliori libri per l'infanzia e l'adolescenza pubblicati in Italia, così come i progetti che si sono distinti in quest'ambito. Proprio oggi è stato dato l'annuncio ufficiale dei vincitori di questa edizione, mentre la cerimonia ufficiale è prevista il 28 maggio, dalle 15 in poi a Palazzo Ducale, alla presenza di scrittori, illustratori, editori, esperti del settore e lettori.

Ma la letteratura per ragazzi scende in città qualche giorno prima, mercoledì 17 maggio, alle 17.30, al Teatro Altrove, c'è Bruno Tognolini. Lo scrittore, Premio Andersen nel 2007, è in arrivo per presentare il suo ultimo romanzo, “Il giardino dei musi eterni”, ce ne parla lui stesso in una chiacchierata telefonica che anticipa di poco il viaggio verso Genova.

Il tuo ultimo romanzo racconta di quello che succede in un cimitero per animali, è lì che si ambienta. Parla di morte, dunque, un tema che spesso non è facile portare nei libri per ragazzi. Cosa ti ha spinto a seguire questa strada? Da dove sei partito?

Sono sempre molteplici i motivi che spingono verso una scelta piuttosto che un'altra. All'inizio c'è stato lo scoprire, prima sul web e, poi, nella realtà, l'esistenza dei cimiteri per animali. Mi colpiva che quel dolore imbarazzante che si prova di fronte alla morte di un animale che ci è stato caro avesse un suo luogo dove esprimersi. Volevo dare a quel dolore anche una narrazione. E poi il libro più che di morte parla di eternità, di quell'anelito umano a fuggire dalla propria “finitudine”, verso quel desiderio di espandersi, di essere. È un tema grande che potrebbe essere esplorato in un saggio di filosofia, io invece ho scelto di raccontarlo attraverso un giallo: un giallo che racconta l'infinito e che parla anche ai ragazzi.

Protagonisti del romanzo sono gli animali, o meglio, gli Àniman, le anime degli animali. Ognuna di loro ha una sua voce chiara, un suo carattere preciso, un'anima. Ti senti vicino a loro? E in che modo?

In realtà non ho mai avuto una relazione di forte complicità con un animale in particolare, sono sempre stato attratto dagli animali “figurati”, da piccolo sfogliavo e risfogliavo un libro di animali in cui mi perdevo: mi piaceva nominarli, li studiavo. Chissà forse perché lo scrittore ha un rapporto stretto con gli idoli platonici della realtà, più che con la realtà stessa. E anche oggi, per esempio, mi piace vedere i documentari: guardare gli elefanti che camminano, le giraffe, gli gnu che vanno. In quel loro andare ed esserci vedo quell'infinitudine che li rende fratelli di noi umani. Fratelli vuol dire essere figli della stessa madre ed è una fratellanza che sprofonda nelle nostre origini, nel nostro dna. Gli embrioni umani fino a un certo punto sono uguali a quelli di molti altri animali, delle lucertole per esempio. Una memoria atavica ci riconduce a quella fratellanza.

Nel tuo libro ricorre la presenza dell'elemento occhi e, quindi, dello sguardo. Come cambiano i tuoi occhi quando scrivi per i ragazzi e come cambiano gli occhi dei più piccoli quando li incontri.

Mentre scrivevo questo romanzo ho letto “La fabbrica delle chimere. Biotecnologie applicate agli animali” di Roberto Marchesini, una visione zooantropologica per me sorprendente e inaudita, un saggio in cui a un certo punto c'è scritto: “dietro gli occhi dell'animale si nasconde un viso mentale inafferrabile, un labirinto di possibilità”. Dietro a quegli occhi c'è un mistero, una domanda a cui nessuno può rispondere e che ci inquieta: “Lì dietro chi c'è?”. Per quanto riguarda i miei occhi quando scrivo per i ragazzi direi che invertono il flusso: non è più quello che vedo fuori che si proietta dentro, ma quello che vedo dentro che va verso il fuori. I miei occhi diventano proiettori.

Gli occhi dei bambini che incontro, invece, cambiano quando l'incanto funziona. Quando quello che ha incantato me arriva dritto anche dentro di loro. Quando finisco di dirgli una filastrocca il loro sguardo cambia, come cambia il loro prendere fiato o come scalpicciano i piedi. In quel momento vedo in quegli occhi un'esclamazione, e sento una voce che dice: “Ah, ecco dove ci voleva portare questo signore”.

Il Premio Andersen premia quest'anno molti progetti italiani. Tu come consideri la letteratura per i ragazzi oggi nel nostro paese?

Ci sono scrittori che sanno tutto sulla letteratura per l'infanzia e altri che non ne sanno niente o quasi. Ecco, io sono uno di questi. Anche quando lavoravo alla Melevisione mi rimproveravano perché dovevo conoscere meglio il mondo della tv per ragazzi, e quando facevo il drammaturgo mi rimproveravo io stesso perché non conoscevo tutto Shakespeare, o tutto Cechov, ma forse se fossi stato un esperto dell'una e dell'altra cosa non avrei scritto quello che ho scritto. Mi piace leggere la rivista Andersen, per esempio, per capire un po' cosa succede: se ci sono solo libri che parlano di bullismo o di genitori separati o di mafia... o se ci sono per i ragazzi anche storie che diano loro altre possibilità, altre storie, ma poi non elaboro una visione critica e chiara.

Anche tu come scrittore hai ricevuto il Premio Andersen nel 2007, è cambiato qualcosa in te in quel momento o è cambiata negli altri che si mettono in contatto con te?

Be' si qualcosa è cambiato. Mela Cecchi con cui ho ideato la Melevisione mi diceva: “l'artista fiorisce nella lode” ed è un po' vero. I premi ti confortano, e nutrono quell'ambizione che se accolta nel rispetto di sé e degli altri aiuta. Anche per chi si relaziona con me è cambiato qualcosa, quasi sempre quando mi presentano dicono: “Bruno Tognolini vincitore del Premio Andersen etc etc”. È anche vero che ci sono un bel po' di Premi Andersen in giro, in pochi non ne hanno vinto uno. A parte gli scherzi è un riconoscimento ambitissimo. Io stesso mi auguro di vincerlo ancora, un anno o l'altro, ed è un bell'incentivo. È stupendo sperare di vincere un premio se lo si fa con il sorriso. Sì, ricevere premi è bello.

Di Daniela Carucci

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