Made in Goa: alla scoperta di Genova, città ibrida

Massimiliano Giberti

Genova, 20/03/2017.

Sulla copertina di Made in Goa. Guida alla città ibrida (Sagep Editori, 2016) c'è un pesce: il persico spigola. Un ibrido tra Morone chrysops maschio, d'acqua dolce, e Morone saxatilis femmina, d'acqua marina ma capace di formare popolazioni stabili in acqua dolce. Con questa immagine eloquentissima di fronte, ci sediamo per parlare del volume e di come l'architetto Massimiliano Giberti, che ne è autore, prosegua un lungo discorso avviato ventanni fa con l'altro autore Giacomo Delbene.

«Non serve riciclare il Biscione», afferma in risposta all'immagine che compare improvvisa mentre sto sfogliando un'altra pubblicazione, The Unnecessary Recycling (Aracne editrice, 2015), un lavoro colletaneo che Giberti ha curato insieme ad Alberto Bertagna, raccogliendo vari contributi «in risposta a un programma nazionale che si chiamava recycling» e che mette insieme i Progetti di Ricerca di Interesse Nazionale (PRIN 2013-2016), tra cui il workshop di progettazione BorderLine per la rigerenerazione del Biscione, o meglio del Quartiere INA-Casa Forte Quezzi, Genova, con progetti sperimentali di trasformazione a cubatura zero.

L'idea di riciclare, di rifunzionalizzare, di creare architetture parassite, ci riporta a Made in Goa. «È una guida alla città muovendocisi dentro. È la dimostrazione di una tipicità di Genova dovuta al suo territorio compresso tra monti e mare. L'idea è: Guardate che si può progettare anche così».

Nata ventanni fa con Giacomo Delbene, architetto genovese che vive a Barcellona, questa mappatura e indagine sull'identità urbana e architettonica del capoluogo ligure guarda a un modello di sviluppo tutto particolare: «La città ha conosciuto una logica di crescita che va oltre il funzionalismo moderno e oltre l'idea di pianificazione, che regola i vari settori in residenziale, industriale, commerciale ecc.». Qualche esempio? «La circonvallazione è una strada a sbalzo, che ha prodotto nuovo suolo e vari ibridi, dai ponti che mi portano a casa, ai fondi creati sotto gli archi, fino ai giardini pensili. Dove c'è l'infrastruttura si crea vita, ma in modo informale e spontaneo. Dove c'è più densità di azione, ovviamente gli spazi diventano più appetibili perché si possono aggregare più attività. Esattamente l'opposto della logica su cui si regge la pianificazione con la tendenza a specializzare e separare».

Il volume è agile, ha le dimensioni di un tascabile e un'alta leggibilità perché costruito su schede infografiche (una decina) e perché corredato di grandi immagini in bianco e nero. Le infografiche (Ig) offrono una rapida individuazione di alcune caratteristiche, sviluppi storici e virtù della città ibrida: per esempio si profila la crescita urbana sulla linea di costa su tre momenti del passato il 1840, il 1890 e il 1937; si individua il tempo mobilità risparmiato grazie agli ibridi e allo sfruttamento multifunzionale di alcune infrastrutture. Le foto in bianco e nero, tengono conto di uno sguardo un po' più obiettivo, meno caotico e più marcato nelle linee strutturali, senza negare gli elementi estetici o paessaggistici di rilievo. Insomma puntano lo sguardo sul contesto ibridato e sulla multifunzionalità visibile a occhio nudo.

Accanto alle foto, un apparato di icone e simboli che fanno virtù delle competenze tipo-grafiche e cromatiche che lo studio dell'archittettura porta con sé, ma giocano anche a meticciare il linguaggio architettonico-urbanistico prendendo a prestito e rivisitando il linguaggio della chimica sia citando la tabella degli elementi che usando cromature non scontate (schede pantone?) dove le sfumare cromatiche rimandano l'una all'altra perché nessuna è riconducibile a un colore base. Con quest'ultima appropriazione, anche auto-ironica, si sintetizzano in colorati acronimi le 7 tipologie di ibridi raccontate nei 30 casi selezionati sugli oltre 100 studiati in ventanni di lavoro: dall'AC dell'acquedotto storico a AU, autostrada, quindi cM, circonvallazione a monte, cE, corso Europa, fino a cI corso Italia, F, ferrovia e S, sopraelevata.

Ne emerge un «censimento di sistemi ibridi, multiscalari e multifunzionali, che condividono in una stessa area più funzioni molto diverse. Per esempio sotto la sopraelevata c'è un'attività che sfrutta la sopraelevata come copertura. Altro esempio paradigmatico è la chiesa in Banchi: costruita sopra un blocco commerciale, multiscalare perché si incrocia commercio e nodo delle edicole religiose».

È un modo di guardare alla città riallacciando ambiti disciplinari spesso slegati e mettendo in dialogo edifici, loro utilizzo, loro collocazione e relazione con altri manufatti e loro funzioni e usi. «A partire da questi indizi abbiamo guardato alla storia della città e a chi pensava alla metropolitana cento anni fa, per esempio in occasione dell'Expo del 1914, la Monorotaia (TEFLER) che collegava (in parte via mare) Brignole (area fieristica) fino al promontorio delle Grazie; oppure sempre nel 1914, alla funivia, che partiva dai giardini davanti a Brignole e saliva a Carignano, collina da cui si poteva ammirrare il paesaggio e l'intera città. Oppure si può guardare all'acquedotto storico, che entra in città e ospita il palazzo della Provincia. L'idea che l'infrastruttura dia forma ad altre strutture è consolidata e stratificata e valida ancora oggi».

Possiamo dire che è tipica di Genova o accomuna la città a tanti altri contesti urbani? «Genova ne rappresenta proprio un modello. Ogni nuova strada è nel tempo anche stata supporto per altre strutture per esempio ascensori, funicolari che sono diventati nuovi luoghi. I nodi di queste infrastrutture hanno creato anche luoghi di vita attraverso la creazione o abitazione degli spazi divenuti così pubblici e/o commerciali. Questo è accaduto sempre. Un altro caso? L'elicoidale. Al suo centro oggi, c'è lo spazio in cui Music for Peace ha i suoi uffici e un palcoscenico per i suoi eventi e concerti».

Una guida. Un censimento. Un messaggio? «È possibile progettare anche quando non si ha più spazio. E anche senza fare tabula rasa». Un progetto possibile? «Trasformare alcuni di questi luoghi in snodi in cui si lascia la macchina e si entra in città solo usando sistemi alternativi di trasporto».

Facciamo dei nomi di infrastrutture papabili a questo tipo di trasformazione. «La sopraelevata. Invece di abbatterla si potrebbe trasformarla attraverso un collegamento con navetta o su rotaia, come una metropolitana a cielo aperto che collega i due lati della città. Genova Est e Ovest e le elicoidali potrebbero essere sfruttate per parcheggi intermodali, quindi portare le persone in città con mezzi alternativi. Riprendendo l'idea del creare suolo costruendo a sbalzo - come in corso Italia - si potrebbe risolvere la situazione della Circonvallazione a monte che è diventata una palestra a cielo aperto ma lo spazio per i pedoni non c'è. Basterebbe lavorare con elementi leggerei su questa idea dello sbalzo, no? Il nostro vuole essere un libro che senza proporre progetti, mostra come ha reagito la città nonostante i pianificatori».

Qualche volta gli ibridi non sono proprio bellissimi da vedere, no? «La città ha sempre fatto da sè e ha fatto bene. Certo dal punto di vista estetico si potrebbe fare molto meglio. In Olanda fanno progetti con questa mentalità e li fanno bene, quindi si può sempre migliorare, ma è l'approccio quello che conta».

Critico sul Blueprint, Giberti si chiede:«Davvero c'è bisogno di costruire altre case? Quando la popolazione è in calo? Davvero conviene demolire la sopraelevata e costruire parcheggi in mare? Personalmente sono convinto che non si possa trattare questo territorio con la stessa ottica utilizzata per la pianura padana» - Giberti è originario di Reggio Emilia.

Quindi bisognerebbe andare dietro a come la gente usa gli spazi piuttosto che partire da progetti su carta? «Sì, come diceva Aldo Rossi, un monumento è tale quando sono le persone a riconoscerlo come tale. A Genova tutto è nato così. Pensare ancora, nel 2017 che la fonte di rendita sia la costruzione di residenze è follia. Piuttosto perché non costruire quattro parcheggi intorno alla sopraelevata e far pagare alle imprese immobiliari che trarranno profitto dall'operazione i costi della trasformazione?».

Ci sono anche grandi edifici inagibili abbandonati che creano degrado, come si può agire rispetto a quelli in assenza di fondi? «Faccio un esempio che conosco meglio. La Ex-Miralanza, si potrebbe recuperare attraverso un riuso temporaneo, pratica europea molto diffusa che tiene conto dei tempi di ristrutturazione e dei problemi di sicurezza che si generano. Funziona così: si fa una concessione a 5/10 anni il più delle volte gratuita per un temporary shop, normalmente rivolto a organizzazioni no profit culturali o sociali. I luoghi si aprono alla città, si riduce subito il degrado e poi quando inizia la fase di ristrutturazione molte di quelle realtà che si erano insediate temporaneamente diventano i futuri clienti/abitanti. Oggi a bloccare questa procedura virtuosa spesso gioca la paura dei proprietari a intraprendere i rischi di affidamenti temporanei».

Tra le altre curiosità che rendono vivace questa pubblicazione: «tutti gli elementi ibridi sono identificati per funzione, morfologia e nelle caratteristiche degli elementi compositivi. Nell'infografica si fa il punto sulla verticalità: quanta superficie lineare occupa, quali punti collega, e si arriva a parlare di scorciatoie abitabili. Attraverso le isocrone si individuano le curve che ti dicono quanto tempo occorre per coprire certe distanze. Quando c'è l'ibrido si fa più veloce. Le icone rimandano a caratteristiche morfologiche, per esempio una strada fa pensare a un elemento bidimensionale, ma sono tutti volumi, che hanno un fronte e uno spessore, quindi sotto ci posso mettere delle "cose"».

E se qualcuno magari non sa che il Ponte Monumentale era una cisterna dell'acquedotto, altri ricorderanno il ristorante ospitato in una delle volte. Chi non si ricordasse l'architetto delle case popolari sopra la stazione marittina, magari non sa che è lo stesso che ha realizzato Piccapietra: Robaldo Morozzo della Rocca. Non è detto che troviate tutte queste informazioni in Made in Goa ma magari vi incuriosite a questo gioco di indizi e a questo sistema di fare di architettura virtù invece che ingombro.

Poetica seguita da Sergio Zampichelli «per il parcheggio di Nervi e quello di Passo Barsanti/Ponte Caffaro, oppure un altro ibrido suo: la ex-chiesa trasformata in anagrafe in via delle Fontane». E a livello internazionale chi si occupa di sviluppare questa pratica? «Il caso più estremo e interessante è forse Santiago Cirugeda un architetto che opera sul principio borderline dell'abuso edilizio possibile. Lui si studia i piani regolatori edilizi e dello sviluppo urbano per costruire al limite di questi regolamenti o nel solco che essi lasciano libero. Poi ci sono vari architetti che lavorano sul tema dell'ibridazione e sulle "architetture parassite", quelle che crescono su altre».

Un modo diverso di percorrere la città e una conferma del fatto che Genova sia una città non facile da capire e scoprire. Occorre qualche camminata tra i suoi passaggi segreti, scorciatoie, vicoli, creuze e altri passanti tra le case per capirne la stratificazione e farsi cogliere impreparati dagli scorci iniimmaginabili tanto fascinosi. In compagnia di Made in Goa o di chi ci vive, si può.

Di Laura Santini

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